Recensione del volume ”Il processo al processo. La responsabilità dei magistrati” di Vito Marino Caferra, Cacucci Editore

La recente promulgazione della legge sulla responsabilità civile dei giudici ha offerto al dottor Vito Marino Caferra - già Presidente della Corte d’Appello di Bari e componente del Consiglio Superiore della Magistratura, nonché docente di diritto nell’Università di Bari – l’occasione per dare il suo autorevole contributo su una materia particolarmente “sensibile” con il volume “Il processo al processo. La responsabilità dei magistrati.” Editore Cacucci 2015. Il dott. Caferra, autore di altre apprezzate monografie sui problemi della giustizia , ha dato alla stampa il suo contributo con con la competenza e la maestria che gli sono proprie, illustrando - per i vari casi di “malagiustizia” (dall’ingiusta detenzione alla poco ragionevole durata dei processi) - i diversi ambiti di responsabilità civile (dello Stato e/o del magistrato) e penale , nonché l’articolato sistema della responsabilità disciplinare del magistrato, che talvolta si espone ai rischi della deriva corporativa.

Nel quadro di un ordinamento multilivello (con le fondamentali funzioni attribuite alle Corti europee) l’Autore riconduce gli svariati istituti presi in esame ad un sindacato sull’esercizio della giurisdizione in un sistema democratico, che richiede il controllo di ogni potestà pubblica e quindi anche sull’esercizio del potere giudiziario; e avverte sin dalla prima pagina che “che nel costituzionalismo moderno non c’è potere (pubblico o privato) senza limiti e senza responsabilità: i limiti sono segnati dalla divisione dei poteri (oltre che dal pieno e reciproco rispetto delle funzioni di ciascuno) e dal riconoscimento dei diritti fondamentali, che trovano la loro garanzia nelle varie forme di responsabilità giuridica e/o politica previste dall’ordinamento. E quanto più rilevanti sono le funzioni pubbliche tanto più va rafforzata la dimensione dei doveri e delle responsabilità”..
Peraltro l’Autore non manca di avvertire che la proliferazione di procedimenti “derivati”, che si aggiungono ai procedimenti principali a causa della inefficienza della macchina giudiziaria (ma anche a causa della carenza di professionalità degli operatori del diritto), riesce ad offrire - con onerose misure riparatorie – solo un surrogato del bene violato, ma non può ripristinare la situazione giuridica irreversibilmente pregiudicata. Anzi, le varie forme di responsabilità, con i relativi processi al processo, aggravano le disfunzioni dell’apparato giudiziario e ne disperdono le risorse con un sicuro effetto delegittimante.
. Accanto agli effetti negativi dell’uso distorto delle varie forme di responsabilità l’Autore segnala il fenomeno (sempre più di moda) del “processo mediatico”: la forma di processo al processo più diffusa, così come è diffusa e capillare l’azione del media nella società dell’informazione e dello spettacolo mediante un mix di violazione del segreto e di abuso della libertà di informazione; per questa via un certo tipo di giornalismo, anche grazie a rapporti privilegiati con gli organi inquirenti, tende a sostituirsi alla magistratura giungendo a premature condanne e assoluzioni, tali da inficiare se non condizionare il giusto corso dei procedimenti..
Infine l’Autore censura il cosiddetto “protagonismo mediatico” di alcuni magistrati e i facili “salti di campo” di costoro ( dalla magistratura alla politica e viceversa) in un vero e proprio “sistema di vasi comunicanti” dagli effetti preoccupanti per la conseguente confusione dei ruoli. e, quel che è più grave, per la perdita di credibilità nella “terzietà” della magistratura.
Dalla lettura del libro si ricava netta la sensazione che in Italia, nell’attuale fase politico-istituzionale, risulta sempre più difficile esercitare la nobile arte di amministrare la giustizia, perché l magistrati si trovano di continuo presi tra due fuochi: da un lato i cittadini esasperati dall’eccessiva durata dei procedimenti, dall’altro i politici che - in un contesto di squilibrio dei poteri (per l’espansionismo giudiziario e la sovraesposizione dell’azione penale) - sono sempre più insofferenti a quel che considerano indebite ingerenze.
In conclusione si può convenire con l’Autore che “la credibilità della Giustizia, sia penale che civile, è strettamente legata al senso del limite (del diritto e del processo) rispetto al necessario ruolo politico che va riconosciuto al legislatore, al potere esecutivo e quindi al potere politico. Invece “la esorbitanza del potere giudiziario … e la confusione dei ruoli provocano reazioni incongrue che danno luogo a “processi al processo”, anche per l’uso distorto delle varie forme di responsabilità del magistrato.” Ragion per cui “per ridurre il rischio della confusione dei ruoli ed assicurare la maggiore possibile indipendenza dei magistrati … è loro dovere professionale tenersi lontani da quello che potrebbe essere il punto di rottura del sistema.”.

Prof. Filippo M. Boscia