Boscia: «Ecco perché l’aborto è una sconfitta e non una scelta come dicono» + Intervista a Boscia da Livia Turco

 

Il professor Filippo Boscia, presidente nazionale dei Medici Cattolici, intervistato da Pro Vita & Famiglia, si è espresso in merito alla tematica dell’aborto e – in particolare – dopo quanto accaduto sui manifesti della onlus che tanto hanno fatto discutere. La costante diatriba è tra chi vede nell’aborto un diritto e, dunque, una scelta e chi, invece, lo reputa una sconfitta.

Alleghiamo inoltre un’intervista  rilasciata dallo stesso Boscia  a Livia Turco per il suo volume “PER TORNARE AL BUIO: dialoghi sull’aborto” a cura di Chiara Micali, pubblicato da Ediesse Edizioni 2016, assolutamente attuale, da inserire sul nostro sito.


Prof. Boscia, la campagna di Pro Vita & Famiglia pone l'aborto come una sconfitta, non come una scelta. Il suo commento da medico e uomo di scienza.

«Sono profondamente convinto che l’aborto sia una sconfitta. Così come sono profondamente convinto che nella società attuale ci sia una lotta radicale ideologica tra la cultura della vita e la cultura della morte. E’ un ambito questo nel quale ci giochiamo il nostro futuro e quello delle nuove generazioni. E’ in atto la più grave aggressione della storia ai valori umani, alla memoria storica, alla cultura e alle tradizioni. Questa aggressione trova uno dei principali bersagli nella famiglia e soprattutto nelle famiglie fragili che davvero sono colpite a morte. L’azione politica vuole condannarci ad accettare norme prive di un volto e una storia. Siamo proprio certi che per la donna ricorrere all’aborto sia sempre e comunque una facile e libera scelta? Quante volte invece si tratta di costrizioni legate a condizioni economiche, sociali, e familiari? La mancanza di lavoro o l’impossibilità a conciliare il lavoro con la maternità, la difficoltà a portare avanti una gravidanza senza un legame stabile, o che proprio per quell’incidente di percorso si trancia, soprattutto poi se si è ancora minorenni, o infine certe famiglie che sono tali solo sulla carta, dove i rapporti sessuali sono solo l’unico collante senza pensare alle loro conseguenze, e così via. Di esempi potremmo farne tanti. Quelle donne si rivolgeranno all’aborto per disperazione e nel ricordo di quell’evento infausto, quando hanno rinunciato ad accogliere un figlio, lo vivranno sempre, anche dopo tanti anni, come una ferita insanabile, che l’esperienza insegna non si rimargina mai, e ritorna ciclicamente come un incubo, così da giungere a chiedersi: dov’è il mio bambino? Quel bambino immaginato che già c’era e poi non c’è più. Se non è questa una sconfitta!».

 La campagna viene contestata al grido di "sul mio corpo decido io". Qual è il punto di vista medico sul fatto, non di certo un dettaglio, che oltre al corpo della donna esiste il corpo del bambino nel grembo da tutelare? Chi decide per quel bambino?

 «La gravidanza costituisce una condizione particolare nella quale vengono a confliggere, come ha riconosciuto più volte la giurisprudenza, due diritti alla vita: quello della madre e quello del bambino che porta in grembo. Sulla prevalenza dell’uno sull’altro si è molto discusso senza che si sia mai arrivati ad una risoluzione esaustiva. Parlo in entrambi i casi di diritto alla vita perché anche nel caso della donna di quello si tratta. Infatti la legge 194/78, che disciplina l’interruzione volontaria della gravidanza, non è che abbia liberalizzato l’aborto, facendone così un nuovo diritto acquisito come arbitrariamente e utilitaristicamente certe organizzazioni femminili vogliono far credere, bensì lo ha depenalizzato, rendendolo possibile solo quando sia in pericolo la salute fisica e/o mentale della donna. E al bambino chi ci pensa? La stessa legge si proponeva proprio di tutelare la gravidanza, come è stabilito nel suo titolo, e di conseguenza il frutto di quella, cioè il concepito. Ma in realtà lo è stato mai fatto? Purtroppo si è sempre privilegiata la madre sul figlio. Eticamente questo è corretto?

 Da fisiopatologo della riproduzione umana,  credo che la vita sia da rispettare sino al suo primo esordio, cioè sin dal concepimento; da cattolico mi rifaccio a quanto detto prima da Giovanni Paolo II, che nell’enciclica Evangelium vitae rimarcò che l’aborto deve essere considerato sempre e comunque come un vero e proprio omicidio, e più di recente da Papa Francesco che ha ribadito “La Chiesa è per la vita, e la sua preoccupazione è che nulla sia contro la vita nella realtà di una esistenza concreta, per quanto debole o priva di difese, per quanto non sviluppata o poco avanzata”. In ogni caso la questione dell’aborto non è una questione religiosa, ma una questione laica. Siamo molto lontani dall’essere “guardiani di nostro fratello”, ma questo è un compito doveroso per tutti, che non può e non deve essere dimenticato da nessuno. Ho l’impressione che l’attuale contesto politico socio-culturale, stia trascurando la prospettiva etica dell’agire umano e questo emerge particolarmente nel settore delle politiche sociali, economiche e sanitarie.

Nel settore biomedico che è poi coinvolto in un vorticoso evolversi di emergenti tecnologie e di farmacoterapie innovative “Pro-choice” e “Pro-aborto” c’è proprio da interrogarsi sui concetti di uomo, sulla sua dignità e sul suo futuro. Sono moltissimi i temi eticamente sensibili, dalla RU486, al testamento biologico, dal suicidio assistito all’utero in affitto, ecc. ecc. Sono argomenti che ci riguardano da vicino e sui quali siamo obbligati a riflettere perché interessano la vita umana in tutte le sue espressioni e che deve essere protetta e custodita. Molte sono le perplessità senza risposte. Sono tanti i problemi irrisolti che creano inquietudine nell’animo umano. Esaltando i diritti soggettivi si omettono i doveri dell’“io personale” verso il “tu comunitario”, si continuano ad omettere i doveri nei confronti della società e i doveri verso l’umanità. Occorre chiedere alle Istituzioni che promuovono dubbie innovazioni sociali, dove sono finiti tutti i principi etici importanti di fedeltà, di autonomia, di beneficenza e di solidarietà».

 Cosa ne pensa, invece, sul dibattito che si porta avanti ormai da mesi, sulla "liberalizzazione" della Ru486 che fa diventare l'aborto "fai-da-te"?

 «Sebbene il numero totale per anno delle interruzioni di gravidanza in Italia venga registrato in progressiva diminuzione, gli aborti volontari restano comunque sempre tanti, se non troppi. Sono in pochi a parlare delle incommensurabili quantità di pillole post-coitali vendute: le “pillole del giorno dopo” dispensate in farmacia sono davvero troppe e corrispondono a 546.500 confezioni nel solo 2018. Ad ognuna di queste pillole può essere correlabile un aborto nascosto, tra l’altro su donne inconsapevoli dell’evento connesso. Da quando è stato liberalizzato l’utilizzo della “pillola dei cinque giorni dopo”, il cui uso tra l’altro è stato agevolato dall’aver eliminato la prescrizione medica, sono stati registrati consumi raddoppiati. Sono in pochi a sapere che, contrariamente a quanto asserito, non si tratta di una contraccezione d’emergenza, ma di una vera intercezione post-coitale, vera e propria tecnica di ostacolo all’annidamento dell’embrione, nel caso in cui sia avvenuto il concepimento.  Non v’è alcun dubbio che questa pratica sia in netta e crescente diffusione tra le minorenni, soprattutto a seguito della liberalizzazione della vendita. Si tratta di cifre impressionanti, non conteggiate nel totale degli aborti, ma che comunque concorrono ad aumentarne il numero.

La diffusione dell’aborto farmacologico risponde a logiche chiaramente abortiste che vogliono impedire lo sguardo sul concepito, spostando l’attenzione sulla falsa non invasività di tale mezzo abortivo e per conseguenza determinando l’aborto un fatto banale  (basta bere un bicchiere d’acqua) e privato (basta essere nel bagno di casa), salvo poi correre in un pronto soccorso a causa di una emorragia irrefrenabile! Come allora non essere contrari a queste eccessive liberalizzazioni, ancor peggio se l’intento è quello di risparmiare sui costi assistenziali, in una logica economicista-efficientista-utilitarista che ben si addice ad una sanità sempre più povera e oltremodo distratta da altre più assillanti priorità?

L'aborto farmacologico, se fatto in casa senza supervisione medica, può davvero essere un vero e proprio veleno, anche per la donna?

«L’interruzione di gravidanza con metodo farmacologico, già autorizzata in Italia dal 2010, sotto la spinta dell’emergenza per la pandemia da coronavirus, (secondo alcuni comprometteva la pratica attuazione di quanto previsto dalla legge 194/78), ha visto modificati sia il limite massimo dell’eseguibilità, spostato in avanti dalla 7° alla 9° settimana, sia la modalità operativa, con l’eliminazione dell’obbligo di ricovero e l’autorizzazione del trattamento in regime ambulatoriale. Questa decisione invece di andare incontro alla donna, come da più parti si dice, in realtà viene a pesare maggiormente su di lei, che si troverà ancor di più sola, in  carenza assistenza e in totale solitudine di fronte a situazioni di rischio potenziale.

L’uso del mifepristone, il farmaco abortivo, infatti non è esente da rischi e complicanze: alcuni più banali (dolori e crampi addominali, nausea, vomito) altri più seri, a partire dalle non infrequenti metrorragie, che richiedono comunque l’ospedalizzazione per lo svuotamento e la successiva revisione uterina a causa di un’espulsione incompleta del prodotto del concepimento, per finire ai riportati casi mortali conseguenti a shock provocato da tossine batteriche. Ecco perché non era per nulla sbagliata la decisione dell’AIFA (l’Agenzia Italiana del Farmaco) che, autorizzando l’immissione in commercio della pillola RU486, aveva giustamente stabilito che il trattamento dovesse avvenire in ospedale e sotto controllo medico. Tante sono le perplessità senza risposte! Tanti sono i problemi irrisolti che creano inquietudine all’animo umano… mentre tutti spingono uomini e donne ad esercitare libertà individuali, disgiunte da un fondamento metafisico e antropologico. Le variazioni proposte, il pensiero unico e i rinnovamenti ideologicamente imposti, orientano verso libertà prive di responsabilità, che sono distruttrici in sé stesse e disgregatrici della convivenza sociale».